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Carla Vasio, Vita privata di una cultura, Nottetempo, 2013.


7 Gennaio 2024

Finché, alla fine degli anni sessanta, un gruppo di scrittori e di musicisti fonda la Cooperativa Prove 10, così chiamata dal numero di soci fondatori: un programma concreto, sostenuto da molto coraggio e da una fervida immaginazione.

Riusciamo a comprare una vecchia stampante offset monumentale, e ad affittare una specie di cantinone dove la si possa appoggiare direttamente sulla terra battuta, perché il suo peso avrebbe sfondato qualsiasi pavimento. Io ho funzioni di tecnico, di manovale e di stampatore: vuol dire che devo inventarmi direttamente sul campo tre mestieri difficili. Gli altri soci mi offrono da lontano un prudente sostegno morale. Invece la polizia è più concreta: fanno continui sopralluoghi, perché quel tipo di macchina è comunemente usato dai falsari per la stampa di monete cartacee di grosso taglio. Difficile convincerli che non siamo fabbricanti di banconote: siamo scrittori di romanzi, poesie, favole e canzoni. Quando se ne persuadono, vanno via delusi e un po' disgustati.



Rileggo a tratti il memoir di Carla Vasio per un contributo che devo scrivere e mi imbatto in un'annotazione fatta circa 10 anni fa, all'epoca del mio dottorato di ricerca. Gli artisti rischiavano, le donne parlavano al maschile. Vorrei commentare di più, ma forse no. Solo questo oggi, in questa seconda giornata di pioggia incessante a Bologna.

Glenn Gould,, L'ala del turbine intelligente. Scritti sulla musica, Adelphi, 1984.


5 Gennaio 2024

G.G. Penso che all'artista si debba concedere per il bene suo e del pubblico – e voglio chiarire subito che parole come «pubblico» e «artista» non mi vanno affatto a genio, perché non mi piacciono i sottintesi gerarchici di questo tipo di termini – si debba concedere, dicevo, il beneficio dell'anonimato. Occorre consentirgli di operare in segreto, per così dire, senza che egli debba preoccuparsi, o meglio ancora rendersi conto, delle presunte esigenze del mercato, le quali esigenze, se accolte con sufficiente indifferenza da un numero sufficiente di artisti, finirebbero semplicemente con lo scomparire. E a questo punto l'artista si libererebbe dal suo malinteso senso di responsabilità «pubblica», mentre il suo «pubblico» si affrancherebbe dalla propria soggezione servile.

[...]


g.g. D'accordo, Signor Gould, capisco che quest'idealistico scambio di ruoli possa procurare ampie gratificazioni retoriche, e ammetto persino che il concetto di «pubblico creativo», su cui lei si è lungamente soffermato nel corso di altre interviste, eserciti un certo qual fascino mcluhanesco. Ma lei, guarda caso, dimentica che l'artista, anche se vive in ermetica clausura, rimane pur sempre una figura autocratica ed esercita in seno alla società una sua dittatura, generosa se vuole, ma sempre dittatura. E il suo pubblico, per quanto ampiamente emancipato grazie alle numerose diavolerie tecniche, per quanto riccamente dotato di alternative elettroniche, ha sempre un ruolo passivo (almeno a tutt'oggi); e quindi nemmeno lei, pur facendosi paladino dell'anonimato in nome dell'artista come zero e pur sventolando il suo panculturalismo verticale in nome del «pubblico», riuscirà a mutare questo stato di cose.

Da Glenn Gould parla con Glenn Gould di Glenn Gould, «High Fidelity», 1974.


G.G.: I simply feel that the artist should be granted, both for his sake and for that of his public – and let me get on record right now the fact that I'm not at all happy with words like "public" and "artist"; I'm not happy with the hierarchical implications of that kind of terminology – that he should be granted anonymity. He should be permitted to operate in secret, as it were, unconcerned with – or, better still, unaware of – the presumed demands of the marketplace – which demands, given sufficient indifference on the part of a sufficient number of artists, will simply disappear. And given their disappearance, the artist will then abandon his false sense of "public" responsibility, and his "public" will relinquish its role of servile dependency.

[...]

g.g.: Mr. Gould, I'm well aware that this sort of idealistic role swapping offers a satisfying rhetorical flourish, and it may even be that the "creative audience" concept to which you've devoted a lot of interview space elsewhere offers a kind of McLuhanesque fascination. But you conveniently forget that the artist, however hermetic his life-style, is still in effect an autocratic figure. He's still, however benevolently, a social dictator. And his public, however generously enfranchised by gadgetry, however richly endowed with electronic options, is still on the receiving end of the experience, as of this late date at least, and all of your neomedieval anonymity quest on behalf of the artist as zero, and all of your vertical panculturalism on behalf of his "public," isn't going to change that – or at least it hasn't done so thus far.




Qualche giorno fa ho visto Maestro (Bradley Cooper, 2023). Non mi è piaciuto, ma mi ha fatto venire voglia di rileggere qualche pagina degli scritti sulla musica di Glenn Gould, libro prezioso ricevuto in dono due natali fa. Mi sembrano, le riflessioni del pianista canadese a partire dalla sua scelta di non fare più concerti in pubblico, molto attuali rispetto alla questione dell'anonimato dell'artista e della relazione tra cultura, performance, mercato.

[A few days ago I saw Maestro (Bradley Cooper, 2023). I did not like it, but it made me want to re-read a few pages of Glenn Gould's writings on music, a precious book received as a gift two Xmas ago. The 1970s reflections of the Canadian pianist, starting with his choice to no longer give concerts in public, seem to me very topical with respect to the question of the anonymity of the artist and the relationship between culture, performance, market].
Rainer Maria Rilke, Lettere a un giovane poeta. Scritte tra il 1903 e il 1908 ma pubblicate postume nel 1929. Prima pubblicazione in Italia: Adelphi, 1980.

04 Gennaio 2024

" Se la vostra vita quotidiana vi sembra povera, non l'accusate; accusate voi stesso, che non siete assai poeta da evocarne la ricchezza; ché per un creatore non esiste povertà né luoghi poveri e indifferenti. E se anche foste in un carcere, le cui pareti non lasciassero filtrare alcuno dei rumori del mondo fino ai vostri sensi – non avreste ancora sempre la vostra infanzia, questa ricchezza preziosa, regale, questo tesoro dei ricordi? Rivolgete in quella parte la vostra attenzione. Tentate di risollevare le sensazioni sommerse di quel vasto passato; la vostra personalità si confermerà, la vostra solitudine s’amplierà e diverrà una dimora avvolta in un lume di crepuscolo, oltre cui passa lontano il rumore degli altri. E se da questo viaggio all’interno, da quest’immersione nel proprio mondo giungono versi, allora non penserete a interrogare alcuno se siano buoni versi; né tenterete d’interessare per questi lavori le riviste: ché in loro vedrete il vostro caro possesso naturale, una parte e una voce della vostra vita. Una opera d’arte è buona, s’è nata da necessità. In questa maniera nella sua origine risiede il suo giudizio: non ve n’è altro.




Giornata luminosa, il mio aeonium ha fatto sbocciare, fuori stagione, tre nuovi fiori. Giorni di solitudine, scrittura, concentrazione, riflessione sul ruolo dell'arte. Avevo in realtà usato parte di questa citazione in un articolo sugli scritti autobiografici di Monica Vitti uscito in un bel numero a lei dedicato su L'Avventura.

[Bright day, my aeonium has three new flowers in an out of season unexpected blooming. Days of solitude, writing, concentration, reflection on the role of art. I had actually used part of this quote in an article on Monica Vitti's autobiographical writings that appeared in L'avventura journal issue].

La radice avventizia

picking words from literature and beyond. 


Almost everyday, Almost in Italian language. By Giulia Simi

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