La Storia è un romanzo scritto per gli altri
- La conchiglia
- 23 gen 2024
- Tempo di lettura: 5 min
Aggiornamento: 25 gen 2024
Natalia Ginzburg, I personaggi di Elsa, «Corriere della Sera», 21 Luglio 1974.
23 Gennaio, 2024.
"La Storia è un romanzo scritto per gli altri. Ora, da moltissimi anni, l'idea di un romanzo scritto per gli altri sembrava volata via dalla terra. L'idea degli altri, da moltissimi anni, è un'idea che genera angoscia, perché gli altri appaiono irraggiungibili. Nei poeti, come Kafka o Beckett, la sterminata lontananza degli altri e l'angoscia diventano un grande universo notturno, nel quale l'uomo riconosce se stesso. Ma quando sono assenti la poesia e la grandezza, ciò che resta è uno squallore sterile, fatuo e triste. Da moltissimi anni, i romanzieri scrivono unicamente per sé. Scrivono per essere meno tristi, meno angosciati, meno soli.
[...]
La Storia è un romanzo scritto in terza persona. Un romanziere, oggi, della terza persona, ha paura come di una tigre. Egli sa che nella terza persona, nell'egli, si nasconde ogni specie di pericolo. Scrivendo "io" si sente assai più sicuro, perché tutti i suoi limiti sono subito denunciati. Nella Storia l'io narrante esiste, ma si affaccia solo ogni tanto, e nello spazio di poche righe. L'io narrante è però, nella Storia, importantissimo, e non denuncia dei limiti, ma è invece il punto da cui viene contemplato il mondo. È un punto insieme altissimo e sotterraneo, dotato di uno sguardo che vede l'infinita estensione degli orizzonti e le infinite e minime rughe e crepe del suolo. Tale sguardo non conosce limiti, né in estensione, né in profondità. Sceglie e raggiunge alcune fra le più sperdute creature della terra, segue il corso del loro destino e ne illumina la qualità misteriosa. In un simile sguardo, la felicità e la sventura, la vita e la morte, risplendono di luce diversa, ma è sempre luce. La tenebra non è nella morte, ma nei poteri occulti della "Storia", che decretano la morte e la sventura degli umili, gli stermini e le stragi. La sventura non rappresenta, nei confronti della felicità, un crollo nella notte, ma piuttosto un'esplosione di luce ancora più abbagliante, così abbagliante che non riescono a reggerla né lo sguardo, né il cuore. La morte del cane Blitz, la partenza dei Mille dallo stanzone, la morte di Ninnuzzu, le parole ingiuriose di Davide al bambino Useppe ("Vattene, brutto idiota, col tuo cagnaccio!") hanno gli accordi strazianti della sventura ma non annientano gli accordi melodiosi della felicità, non ne spengono la gloria indistruttibile e immortale. La sventura, la malattia, la pazzia, la morte, sono offese orrende contro la felicità, l'infanzia e la vita, e tuttavia sono, nei confronti della felicità, dell'infanzia e della vita, in condizioni di parità.
[...]
Quelli che hanno detto che La Storia ha parentele con il neo-realismo, si sono sbagliati. Il neo-realismo vedeva la seconda guerra mondiale, e Roma in quegli anni, e la borsa nera, e le deportazioni degli ebrei, e il dopo-guerra, da vicino e però in piccolo, su uno sfondo dai contorni duri e precisi, suggellati da rozze speranze. Qui, le medesime cose sono viste in una dimensione immensa e confusa, in profondità e nello stesso tempo come da lontananze sterminate, e non ci sono più tracce di quelle stesse rozze speranze. la voce che racconta, nella Storia, è la voce di chi ha attraversato i deserti della disperazione. È la voce di chi sa che le guerre non hanno mai fine, e che saranno sempre deportati gli ebrei, o altri per loro.
[...]